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La riduzione della pressione sanguigna rallenta la progressione della malattia renale nei pazienti con diabete


Nello studio United Kingdom Prospective Diabetes Study ( UKPDS ), la riduzione della pressione sanguigna è risultata essere il più importante fattore nel rallentare la progressione della malattia renale e nel diminuire l’insorgenza di eventi cardiovascolari nei pazienti affetti da diabete.

Poiché l’ipertensione rappresenta il più comune fattore di rischio di insufficienza renale nei pazienti con diabete, la National Kidney Foundation ( NKF ) ha raccomandato l’impiego di approcci terapeutici più aggressivi nel controllo della pressione sanguigna.

I pazienti diabetici dovrebbero abbassare la pressione sanguigna a valori inferiori a 130/80 mmHg, mentre nei soggetti con proteinuria superiore a 1 g/die i valori pressori dovrebbero scendere al di sotto di 125/75 mmHg.

L’analisi di studi clinici prospettici ha dimostrato che la riduzione dei livelli di pressione diastolica si traduce in una minore incidenza di eventi cardiovascolari e alterazioni della funzione renale.

Le raccomandazioni della National Kidney Foundation possono essere così riassunte:

A) se il paziente ha una pressione superiore di 15/10 mmHg alla pressione ottimale ( < 130/80 mmHg ), dovrebbe assumere Ace inibitori associati ad un diuretico tiazidico, aumentando il dosaggio dell’Ace inibitore se necessario;

B) nel caso in cui la pressione non risulti ancora controllata, dovrebbe essere aggiunto un calcioantagonista ( i calcioantagonisti non diidropiridinici sono raccomandati solo per coloro che hanno proteinuria maggiore di 300 mg/die );

C) una volta raggiunta la pressione ottimale, questa dovrebbe essere mantenuta con un dosaggio fisso di Ace inibitore e diuretico tiazidico o di un Ace inibitore ed un calcioantagonista, in modo da facilitare la compliance del paziente.

Di norma i livelli pressori ottimali vengono raggiunti con la somministrazione di più farmaci.
In media sono necessari almeno 3 farmaci antipertensivi per raggiungere va lori inferiori a 130/80 mmHg.

In passato c’era una certa riluttanza ad utilizzare gli Ace inibitori nei pazienti con insufficienza renale in base al concetto che gli Ace inibitori avessero effetti nefrotossici. Lo studio HOPE ( Heart Outcomes Prevention Study ) ha mostrato l’efficacia dell’Ace inibitore Ramipril, somministrato per 5 anni al dosaggio di 10 mg/die a pazienti ad alto rischio di eventi coronarici, nel ridurre l’infarto miocardico , l’ictus o la morte cardiovascolare.
Una sottoanalisi ha anche dimostrato la capacità del Ramipril nel ridurre l’incidenza di nefropatia del 22%.

Solo recentemente sono comparsi studi clinici , che hanno valutato l’effetto degli antagonisti del recettore dell’angiotensina II nella riduzione del danno renale.
Lo studio RENAAL ha mostrato per la prima volta che un farmaco , il Losartan , un’ antagonista dell’angiotensina II , è in grado di rallentare la progressione della malattia renale verso la malattia renale a stadio terminale nei pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia.
Dopo un periodo di trattamento di circa 40 mesi, il Losartan ha ridotto del 28% il rischio della progressione alla malattia renale a stadio terminale.
Tuttavia l’effetto nefroprotettivo del Losartan non sarebbe da imputare alla sola riduzione della pressione sanguigna.


Carlo Franzini


Xagena2001



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